LA MICROBIOLOGIA INDUSTRIALE
La storia
La microbiologia industriale è nata nel XIX secolo grazie a due nomi: Emil Christian Hansen e Louis Pasteur.
Emil Christian Hansen (1842 – 1909), isolò una cellula di lievito e la mise a contatto con una soluzione zuccherina. Ne ottenne un gran numero di cellule. Aveva scoperto il Saccharomyces carlsbergensis, l’agente fermentante della birra lager, ottenuta con un procedimento di bassa fermentazione. attualmente il lievito è stato rinominato S. pastorianus ed è più corretto perché se ne conoscono le caratteristiche in modo più dettagliato. Infatti è un ibrido tra S. bayanus e S. cerevisiae.
Louis Pasteur (1822 – 1895), chimico, biologo e microbiologo francese il cui nome è legato a tappe fondamentali nella storia delle scoperte scientifiche. A parte il famoso esperimento che decretò la fine della teoria della generazione spontanea, fu proprio Pasteur a capire che i tradizionali processi fermentativi alla base della produzione del vino e della birra non erano una conseguenza solo della chimica. Un paio di decenni prima di Hansen isolò i funghi microscopici responsabili delle alterazioni di birra e vino e pensò che solo un opportuno uso del calore avrebbe potuto migliorare la conservazione e quindi preservare da alterazioni birra e vino. Era nata la pastorizzazione.
La scoperta, negli anni Cinquanta, della struttura del DNA da parte di Watson e Crick e di conseguenza gli studi microbiologici e di biologia molecolare che ne seguirono diedero poi una spinta ulteriore alla veloce evoluzione della microbiologia industriale.
Dagli ultimi decenni del XX secolo sono sempre di più, quindi, i metaboliti primari e secondari di microbi opportunamente scelti e modificati che vengono prodotti in grandi quantità.
La popolazione microbica – Il punto principale di una produzione industriale microbiologica.
L’industria utilizza per lo più colture microbiche pure a volte prodotte da altre industrie. Basti pensare alle produzioni biotecnologiche alimentari che ricorrono a starter specifici piuttosto che fare affidamento a microbi presenti spontaneamente in natura come succedeva nella produzione di birra, vino e yogurt e nella panificazione prima dello sviluppo della industria alimentare. Lo sviluppo spontaneo è lento, non rientra nei tempi industriali e soprattutto non garantisce i requisiti standard del prodotto.
Quando si tratta il campo industriale il fattore tempo e il fattore economico hanno un’importanza prioritaria.
Quindi per ottimizzare entrambi si procede con:
– la fase di Screening: per individuare ceppi microbici utili e si isolano colonie pure. Poi le si sottopongono a test di varia natura (saggi di attività e analisi cromatografiche) per valutare i loro prodotti metabolici primari o secondari di interesse.
– Tecniche di mutagenesi si inducono mutazioni per ottenere ceppi alto-produttori, perché non sempre quelli trovati lo sono.
– Impianto pilota. Una volta isolato un ceppo microbico di interesse si deve passare ad una simulazione di produzione industriale e questo avviene per stadi.
– Progettazione impianto. Questa è l’ultima fase che deve però tenere conto dell’ottimizzazione di tante procedure. A parte il discorso dei costi che deve essere sempre tenuto presente bisogna fare in modo che il prodotto si possa ottenere sempre, che ci sia stabilità nelle temperature di sterilizzazione, che non ci siano formazione di schiume o altri effetti indesiderati, che non ci sia presenza di prodotti secondari con difficoltà di separazione.
I terreni
I terreni usati devono essere fonte di carbonio, azoto, vitamine e minerali e di energia.
Vediamo quali sono i terreni più usati in microbiologia industriale.
La MELASSA è il residuo della lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero. Si separa dallo zucchero per centrifugazione ed è un liquido denso, viscoso, piuttosto scuro. La melassa da canna da zucchero è usata per produrre il rum (fermentazione) mentre quella da barbabietola viene utilizzata per la produzione del lievito di birra industriale e nell’alimentazione animale.
Ottima fonte di carbonio, inositolo, biotina e acido pantotenico.
Il LISCIVIO SOLFITICO è un liquido che si ottiene dalla lavorazione del legno.
Il legno viene trattato chimicamente per solubilizzare la lignina e ottenere la pasta di cellulosa. Tra i sottoprodotti si ha anche il liscivio solfitico che viene separato per filtrazione e che poi deve essere trattato per eliminare ogni presenza di anidride solforosa.
Il liquido contiene circa il 20% di carboidrati ed è utilizzato soprattutto per la coltivazione di lieviti come Saccharomyces e Candida.
Il SIERO DI LATTE è il residuo della coagulazione della caseina, la principale proteina del latte.
Quindi lo si recupera nell’industria lattiero casearia durante la produzione dei formaggi.
L’industria biotecnologica ne fa ampio uso per la produzione di etanolo, acidi organici e le biomasse microbiche. Contiene il 5% di lattosio, lo zucchero del latte.
L’ESTRATTO DI MALTO è un ingrediente comune dei terreni di coltura anche nei laboratori.
Deriva dalla lavorazione dell’orzo nella produzione della birra dopo l’essiccamento e l’ammostamento. Si ottiene un prodotto ricco di carboidrati e di azoto (5%) che viene venduto in genere come sciroppo o in forma solida.
CORN STEEP LIQUOR. Si ottiene dal prettatamento per la produzione dell’amido dal mais ed è l’acqua di macerazione residua. È un’eccellente fonte di azoto organico, vitamine e sali minerali.
LE MALTODESTRINE, usate nella produzione di antibiotici, sono polimeri di lunghezza variabile di glucosio (da 3 a 17 unità) con legame α-1,4 glicosidico. Sono idrosolubili e si ottengono per idrolisi in ambiente acido da amido di patate e cereali.
LE BORLANDE DI DISTILLERIA sono il residuo nella produzione di etanolo. Nell’ottica che non si deve buttare via niente ma si deve riciclare, anche le borlande vengono utilizzate in microbiologia industriale perché fonte di proteine e di vitamine del gruppo b. Inoltre contengono ancora tracce di lieviti.
FARINA DI SEMI DI SOIA E COTONE. Dalla soia si ottiene l’olio di semi. Il processo estrattivo lascia un residuo che è una farina con un alto contenuto di proteine. Anche il residuo della lavorazione dei semi del cotone può essere utilizzato.
I terreni vanno scelti opportunamente in base alle esigenze nutrizionali dei singoli microrganismi e in relazione ai prodotti che si vogliono ottenere, come abbiamo già visto.
E poi oltre alle fonti di carbonio, azoto, vitamine e sali minerali bisogna anche tenere conto di:
– eventuali precursori che i microrganismi dovranno incorporare
– agenti antischiuma, vale a dire sostanze ad azione tensioattiva che riducono la tensione superficiale
– sistemi tampone; il fattore pH è estremamente importante e quindi, al di là dei sistemi di cui in genere i terreni sono provvisti, bisogna spesso aggiungere carbonati di calcio o fosfati per correggere pH acidi o alcalini.
Nel prossimo numero parleremo dei prodotti ottenuti dai microrganismi.